Di yuzu kosho, di cucinare (meno) col caldo e di food blogger fantasma.
Un tamago sando con mayo allo yuzu kosho; cosa bere di fresco in questa torrida estate; un menù quasi senza fornelli e poi: mangiamo quando la bocca si sente sola.
Oggi parliamo di: yuzu kosho
Di yuzu kosho (柚子胡椒) ho sentito parlare per la prima volta da Mariachiara quando la scorsa estate era in vacanza in un torrido Giappone. O meglio, sicuramente l’avevo già visto e sentito come nome, ma non mi aveva solleticato quella zona del cervello che nella mia fantasia è dedita alla ricerca di ingredienti impronunciabili e la creazione di ricette. Poi sono andata in Giappone anche io e l’ho assaggiato. E me lo sono portata a casa, ovviamente.
Che cos’è lo yuzu kosho? Un condimento. Di cosa è fatto lo yuzu kosho? Solo di tre cose: peperoncino, sale e scorza di yuzu, che vengono lasciate fermentare per un periodo variabile. Ha una texture più o meno ruvida e ne basta poco, non c’è bisogno di esagerare. Quindi è:
piccante (abbastanza piccante, ed è un piccante diverso da wasabi)
un pochino aspro (non molto aspro, solo il retrogusto)
salato (molto salato)
sapido, nel senso di ricco di umami
Non c’è da stupirsi che mi sia piaciuto così tanto, ammettiamolo. Non ci sarà mai niente a base di yuzu che non mi ruberà il cuore. Lo yuzu è un agrume tipico giapponese, onnipresente in Giappone, tant’è che lo vendono in ogni supermercato in cui sono entrata, ma davvero davvero davvero introvabile in Italia, credimi perché ho provato a vendere l’anima al diavolo per ottenerne un paio ma il diavolo mi ha fatto pat pat sulla spalla e mi ha detto che tanto ci rivediamo lo stesso. Beh insomma in Giappone ho scoperto che esiste anche in versione “verde” di stagione in primavera, ed è quello che viene usato per preparare lo yuzu kosho. Da Sowado a Tokyo, chiacchierando con uno degli chef - alquanto basito quando gli ho chiesto se la roba verde accanto al nostro pollo fritto fosse yuzu kosho (vabeh sono abituati agli americani, che ne sanno loro) - mi è stato raccontato che quando è stagione loro ne fanno un barattolone enorme da usare poi per tutto l’anno.
Impossibile per noi civili cimentarci visto che manca una delle tre materie prime fondamentali (e non ho nemmeno ben capito quale peperoncino specifico sia quello che usano, ma tanto so benissimo sarà introvabile pure quello).
Come usare lo yuzu kosho e dove comprarlo
Originariamente pare che lo yuzu kosho fosse usato per accompagnare i nabemono, cioè i piatti giapponesi cotti “a zuppa” in un un’unica pentola. Io però l’ho assaggiato abbinato invece appunto a carne e pesce, soprattutto fritti, perché tende a “sgrassare bene”, ma anche alla griglia (yakitori insomma).
Pensatelo come uno short cut per aggiungere in un solo rapido gesto limone, sale, umami e piccantezza a… qualsiesi cosa. Idealmente salse, marinate, condimenti di qualsiesi natura. Sicuramente su pesce e carne funziona perfettamente ma non disdegnatelo su eventuali verdure bollite o grigliate. Ad esempio io ci ho condito dei fagiolini sbollentati e grigliati insieme a un pochino di salsa di soia affumicata e della cipolla rossa marinata, e wow. Vorrei avere un filetto di chutoro (ventresca di tonno) per farci un sashimi allo yuzu kosho in questo esatto momento.
La fantasia e la creatività sono in realtà limitate solo dal fatto che ho già consumato metà della mia scorta quindi devo andarci piano con le idee.
Ho appena letto che esiste una versione più dolce e delicata, fatta con lo yuzu giallo, che si chiama kanzuri e niente ora voglio anche quella.
Oltre a quelli che ho assaggiato direttamente in Giappone per ora ho provato i due brand che vedi in foto, e ti dico che probabilmente nemmeno in un assaggio in doppio cieco saprei dirti la differenza, quindi mi sento confidente nell’affermare che l’uno vale l’altro. Nella scelta preferirei i barattolini in vetro rispetto ai tubetti in plastica, illudendomi (ma dai, forse no) di una qualità superiore.
Dove comprarlo? Ad esempio qui o qui. Comunque online o nei negozi specializzati in alimentari orientali.
Mayo allo yuzu kosho & tamago sando allo yuzu kosho
Per la maionese allo yuzu kosho ci sono due versioni.
Versione veloce e costosa: compri la mayo giapponese, la famigerata e costosissima kewpie, e ci aggiungi yuzu kosho in dosi variabili a seconda del tuo gusto. That’s it.
Versione homemade e vegana: nel boccale di un frullatore a immersione metti 80 ml di latte di soia (mi raccomando senza zucchero se no finisce molto male, been there, done that), un cucchiaino di yuzu kosho, un cucchiaio di salsa di soia, un cucchiaio di mirin, e un cucchiaino di aceto di mele e frulli per mescolare il tutto. Poi aggiungi a filo circa 160/180 ml di olio di riso (il mio preferito per la maionese) o di girasole. Il trucco è banalmente aggiungere l’olio mentre il frullare a immersione è in funzione, tenendolo appoggiato sul fondo per i primi secondi, poi facendo su e giù con il frullatore nel boccale. Se hai qualcuno che ti aiuta (o una terza mano) tenendoti fermo il boccale è più facile. L’olio da aggiungere deve essere neutro come sapore e la quantità varia in base a quanto vuoi densa la maionese: più aggiungi olio più la salsa diventa densa, se non hai mai fatto la maionese in casa ti sembrerà un controsenso ma basta provare una volta per convincersi. Quando hai finito di montare il composto aggiungi un cucchiaio di succo di lime o limone e mescoli. Assaggia. Lo yuzu kosho si sente poco? Aggiungine. Vorresti più kick acido? Aggiungi altro lime. Insomma arrangiati regolati. (La ricetta è un po’ scopiazzata da una di un ristorante di Worcester & Birmingham, in cui bramerei andare, che potete vedere qui.)
Perché fare una maionese vegana senza uova? Prima di tutto perchè ci sono mille gradi all’ombra e le uova crude preferisco evitarle, ma soprattutto perché una volta lo chef del Luppolajo mi disse che quando fa le maionesi aromatizzate preferisce usare una base vegetale perché in questo modo il sapore delle aggiunte risalta in purezza e, ecco, la sua spiegazione mi ha convinto.
Cosa ci facciamo con la mayo allo yuzu kosho? La si può usare anche nei burger o panini, o insieme alla tartare di manzo, ma io ci ho fatto un tamago sando, cioè un sandwich alle uova e maionese, che era la fine del mondo quindi te lo metto qui.
Per il tamago sando (dose per 1 moltiplicabile all’infinito o quasi):
Riempi un pentolino di acqua e porta a bollore.
Nel frattempo tira fuori due uova fresche dal frigorifero (tu le tieni in frigo o a temperatura ambiente? Io al fresco dove vorrei stare ora) per evitare che lo shock termico con l’acqua bollente rompa il guscio.
Quando l’acqua bolle con delicatezza le lasci scivolare nel pentolino e metti un timer di 10 minuti, mescolando di tanto in tanto.
Quando sono cotte le scoli e le fai raffreddare in acqua fredda, poi le sgusci (non importa se non sono perfette) le tagli a metà e le trituri come un bambino alle prese con i primi dentini. Ok non con i denti eh. Io ho usato questo attrezzo, che nasce per impastare il burro e la farina, e che inspiegabilmente prende il nome di frullatore da pasticceria (boh) anche se non c’entra niente, ma non c’è bisogno di essere fancy per forza, va bene anche una forchetta. Trita bene ma senza ottenere briciole di uovo, devono rimanere dei pezzetti ben distinguibili.
Ora condisci con un pizzico di sale, una spolverata di pepe e un pizzico di zucchero. Non guardarmi male, ne basta un pizzico, è proprio una cosa tipica dei tamago sando giapponesi quel retrogusto dolcino. Aggiungi ora una bella cucchiaiata di maionese allo yuzu kosho, direi circa 20/25 g circa e mescola bene. Tieni da parte che si insaporisce bene, se vuoi puoi anche preparare il ripieno in anticipo e tenerlo in frigo in un contenitore a chiusura ermetica.
Ora prendi due fette di shokupan spesse circa 1 cm o 1 cm e mezzo. Eh lo so. Lo fa Davide Longoni a Milano, in comode (!?) pagnotte da 1.4 kg. Ma io, al contrario di chi mi manda i comunicati stampa e gli inviti via mail, non do per scontato tu viva a Milano, quindi ti dico che se sei Abile Panificatore/Panificatrice puoi provare a fartelo in casa altrimenti se sei Persona Comune puoi usare un qualsiasi pane in cassetta a fette spessine e belle morbidose, meglio se al latte.
Spalma di burro morbido un lato di ogni fetta - ok avrei dovuto dirti di tirare fuori il burro in anticipo per ammorbidirlo ma tanto in casa hai almeno almeno 25 gradi non ci sarà da aspettare molto - per formare uno strato di grassa e gustosa impermeabilità al ripieno.
Aggiungi il ripieno al pane spalmandolo sul lato imburrato e chiudi con l’altra fetta sempre dal lato imburrato. Ora copri con un piatto o un vassoio per compattare leggermente il panino. Ho detto leggermente, non è un toast, non devi premere come quando uccidi l’ennesima zanzara malefica, altrimenti rovini tutto.
Ora l’unica parte difficile: devi tagliare via la crosta del pane. Difficile perché se usi un coltello liscio schiacci il ripieno nel tentativo di farlo e esce tutto dai lati. Se usi un coltello seghettato e molta delicatezza viene meglio. Un’opzione è anche avvolgere bene il panino in un foglio di carta da forno e tagliarlo con l’involucro così il ripieno non può fuggire via in cerca di vendetta. Oppure tagliale prima di farcire il panino ma non viene bello pari pari uguale. Le croste se vuoi le puoi usare così.
Mangia subito, ah no aspetta se vuoi farci una foto aggiungi anche l’erba cipollina come me, altrimenti, who cares.
Ti facilito la vita: come sopravvivere al caldo in cucina
Se sei tra quelle persone che “da giugno a settembre io non cucino niente” mi fa piacere per te perché vuol dire che o esci a cena tutte le sere, o cucina qualcun altro per te o semplicemente non hai fame. Io col caldo ho la stessa fame che ho con il freddo, quindi cibarsi di cetrioli, anguria e qualche randomica mozzarellina non è la soluzione. (Poi magari un giorno parleremo della narrazione tossica che ci ha convinti che un pasto di sola frutta sia non solo un pasto sano, ma addirittura da incoraggiare - e no, non parlo dello zucchero, parlo del fatto che la frutta non è nemmeno lontanamente sufficiente a sostentare una persona adulta, nemmeno tre chili di frutta lo sono - ma quel giorno non è oggi perchè oggi ci sono 36° e non ho bisogno di farmi venire un’emicrania.)
Dicevamo, se sei una persona che ha comunque fame e deve comunque cucinare perché non ha ancora sbloccato il super poter di far comparire un’insalata di riso davanti a sé, ecco qualche suggerimento di natura organizzativa, per uscirne vivi (ma anche sazi):
Usa il forno. Eh lo so, è una verità a cui nessuno è veramente pronto, ma è così. È vero che scalda la cucina, ma scalda la cucina mentre tu non ci sei, mentre tu sei sul divano davanti al ventilatore con un buon libro, e non ti tocca stare con la fronte imperlata di sudore sopra il pentolone in ebollizione suo fuoco. Lui cuoce e tu ogni tanto controlli. Puoi anche cuocere più piatti insieme o ottimizzare le cotture con qualche attenzione, e spesso si tratta di preparazioni che puoi fare in anticipo. Non dico di farti le patate arrosto a luglio eh, però i pomodorini arrosto da conservare in frigo e scodellare generosamente su pasta fredda o bruschette, quello sì.
Prepara “in batch” ossia in dosi multiple. Anche se non sei una persona dedita alacremente al meal prep settimanale, quando prepari una pietanza calcola sempre dosi doppie in modo da averla pronta per il giorno successivo (es: insalate di farro o pasta, frittate, verdure ripiene) oppure per poterne congelare qualche porzione aggiuntiva (es: quesadillas, sughi per la pasta, pulled pork etc)
Cerca di avere frutta e verdura pronte al consumo: quando fai la spesa lava e asciuga o pulisci tutto e tieni in frigo in contenitori ermetici in modo da allungare la vita delle tue verdure, che con questo caldo resistono ancora meno del solito. I pomodori meglio tenerli interi, ma le carote le puoi pelare, i peperoni li puoi arrostire e tenere già cotti in frigorifero, i fagiolini puoi spuntarli e sbollentarli e tenerli pronti all’uso in modo da facilitarti la vita.
Devi idratarti, lo dicono pure Studio Aperto e Medicina 33, sarà per forza vero. Ok l’acqua è er mejo, ma se proprio non ci riesci meglio bere succhi, tè freddo e qualsiasi altra cosa, piuttosto che non bere niente. Non arrivo a dire che bere la Peroni Chill Lemon con l’1.3% di alcol dei miei aperitivi sia meglio di niente, ma come dire. Cold brew tè e caffè sempre ottima idea. E da quando Lidia di Nonsolofood ha fatto una storia sull’acqua frizzante con le amarene sciroppate l’anno scorso, è stata epifania personale. Altra ossessione attuale: tè verde con spruzzata di lime e sciroppo di sambuco. Il tocco gourmet della salvia melone come guarnizione non è prescrittivo.
Non c’è niente di male a comprare qualcosa di pronto. Non parlo solo della pizza d’asporto, o di un delivery, ma anche le piadine confezionate, i burger veg già fatti, il tonno in scatola, il roastbeef affettato, legumi in barattolo, orzo prelessato… non è barare: è sopravvivere.
Se sei stufo di preparare i soliti quattro piatti a rotazione (tonno e pomodori, caprese con mozzarella, insalata di pasta e prosciutto e melone, e ditemi che non ho azzeccato il 90% dei vostri pranzi di Luglio e Agosto) ripensateli aggiungendo qualche ingrediente insolito o sapore inusuale: sgombro marinato al posto del tonno, pomodori conditi con l’aglio nero, una pasta fredda diversa dal solito, e gamberi&melone al posto che prosciutto.
Pensa a preparazioni che puoi sfruttare in maniera furba, gli inglesi direbbero multipurpose: ad esempio cuoci al forno a bassa temperatura a lungo una montagna di pomodorini poco conditi per usarli in pasta fredda, bruschette o insalate; prendi due petti di pollo interi, li fai rosolare nell’olio in un tegame insieme a fettine di cipolle rossa poi abbassi la fiamma, aggiungi tutte le spezie che vuoi e fai cuocere coperto fino ad avere un perfetto pollo sfilacciato da usare in burritos, bowl di riso o insalate; o ancora cuoci banalmente il riso sushi nella slow cooker per farci degli onigiri, un contorno veloce per del pesce o un fried rice. Insomma cucina meno e in maniera intelligente.
E se sei del partito “I fornelli non mi avranno” ti consigli di leggere questa newsletter di Maricler, a tema ricette fredde anticaldo.
Per i tuoi prossimi ospiti a cena
Un menù senza fuoco (beh quasi, nel senso freddo o comunque poco caldo o comunque non ho acceso tutti i fuochi, insomma ci siamo capiti). Però amici basta hummus vi prego, non ne posso più, grazie (menù 75% vegetariano e adattabile)
Melone condito con succo di lime, e tajin (che non è la tahina nè la tajina, ma questa cosa)
Fichi e ricotta conditi con dragoncello (o basilico), pepe nero, olio evo e spicy honey
Pan y tomate alla spagnola, cioè grattugi dei pomodori carnosi con la grattugia a fori larghi, condisci con sale, pepe, olio evo, basilico e aglio e ci fai delle bruschette, ma se le chiami pan y tomate sembri super cool
Fusilli alla crudaiola di pomodori con brie, il condimento si prepara nel tempo che cuoce la pasta, a freddo, meglio di così? Ricetta qui
Insalata con songino, mozzarella affumicata, cipolle marinate e pomodorini confit al forno (fatti in anticipo!)
Carpaccio o tartare di tonno rosso con capperi fritti, limone fermentato, scorza di limone, pepe rosa e olio evo di quelli pizzicorini
Crostini con burrata, brunoise di sedano, bottarga, acciughe, pesto di levistico
E per dolce compri il gelato in gelateria, compri le amarene sciroppate, monti con una frusta un po’ di panna con la cannella e pochissimo zucchero, lasciandola morbida, e servi il tutto in coppe di metallo come queste che sono tornate di moda, mamma che chic.
Cose meritevoli là fuori
La temperatura all’ombra è ormai quella del centro del Sole, ma io senza crema viso non so stare, Ialuronicoh ha fatto un reel con le migliori creme leggere e (eventualmente) matificanti. Ho preso appunti.
Interessante questa disanima sul costo della pausa pranzo. (Sulla slide riguardo l’eventuale vantaggio di cucinare in casa, io ogni tanto a guardare lo scontrino del supermercato mi faccio delle domande, ma in ogni caso mi sembrava interessante sottolineare come chi non include nel costo il tempo speso ai fornelli sia sempre chi in effetti non cucina mai. Che caso veh?)
Vuoi provare a cuocere un filetto di pesce come al ristorante? Qui tutti i segreti. Non vedo l’ora di provarci la prossima volta che vendo il sangue e potrò permettermi un filetto di spigola dal pescivendolo (per l’appunto, vedi sopra).
Ella Quittner, quella che testa una ricetta di uova poche tremila volte per capire la differenza tra metterci l’aceto, fare il vortice, non farlo, farlo in microonde o insomma col sangue di unicorno, ha scritto un libro che si intitola Obsessed with the Best. Io voglio che internet sia INVASO da questo genere di cose, proprio come il mio soggiorno da mosche e moschini ora.
Volete sapere qual è la prossima frontiera dei siti di ricette non testate con foto prese da siti di stock che vi ingannano posizionandosi nei primi risultati di google e vi fanno buttare via tre uova (“in this economy!”) burro e zucchero perché in 15 minuti in forno quella ciambella magica non è cresciuta? Questo. Food blog di ricette create con la IA, foto fatte con la IA… e food blogger fatte con la IA, perché pure la bio e la foto dell’autrice (non è un femminile sovraesteso eh, sono sempre e solo donne)… non sono reali. Che a me sta pure meglio dei colleghi che invece rubano ricette e foto senza citare nessuno, pensate come sta messa male this industry per settare così in basso l’asticella.
Io adoro i diagrammi di venn satirici, sia detto, ma questo, questo è davvero geniale ad un livello superiore.
Dashi di pomodoro? Count me in
(Non il reel che ti aspetti da questa anteprima, giuro!) Ti è mai capitato di allenarti a casa con un video online e rimanerci male perché nel video sono tutti veloci, prestanti, dai un’altra, più in alto, non sto nemmeno sudando, mentre tu stai boccheggiando e a malapena riesci a sollevarti da terra quando salti? Ecco mentre bevi un goccio d’acqua guarda bene quel video, non la persona davanti in primo piano, ma quelli sul retro. Scoprirai che nemmeno loro riescono a star dietro all’istruttore urlante. Non sei tu, è lui, l’istruttore, a non essere normale. (Rido un sacco perchè nel 2014/15 mi allenavo esattamente con questo video, ma proprio ESATTAMENTE e ricordo benissimo quella scena!)
Cose che vorrei comprare (ma probabilmente non comprerò)
vorrei tantissimo una plancha, cioè una piastra elettrica o a gas da esterni per cuocere tanti smash tacos o smash burger contemporaneamente ma accidenti costano cifre assurde.
un affumicatore, nel senso di questo genere di affare, perché alla fin fine sono una persona banale, indosso le birkenstock, vado in giro con la borsa uniqlo, e adoro il gusto affumicato in qualsivoglia ruolo.
il caffè di Caffe Lab per farmi il cold brew. Riconosco la qualità del prodotto e capisco bene perché abbia quel prezzo, ma la maturità è anche dire: a 65 euro al kilo non me lo posso permettere, e va bene così.
Una ricetta che vorrei provare
Questa è una cosa che andava su tik tok forse già due anni fa (sono millennial, ci arrivo dopo, abbi pietà) ossia la Brazilian Lemonade fatta con i lime interi frullati insieme al latte condensato. Mi ispirava molto ma il motivo per cui muoio a leggere i commenti sotto questo video sono i brasiliani che gridano “Ma non è brasiliana! Noi la chiamiamo Swiss Lemonade!” e poi arrivano ovviamente gli svizzeri che rispondono" “Ma manco per idea, ma poi avete mai visto i lime in Svizzera?” e ovviamente finisce in caciara con tutti che litigano come noi italiani sulla presunta superiorità delle penne lisce su quelle rigate (diatriba sulla quale, metto le mani avanti, mi dichiaro neutrale tanto quanto la suddetta Svizzera)
Un profilo di cui mi sono innamorata
Non è un profilo nuovo, l’ho già citato più volte, ma il profilo di Takashi Sato, il presidente d una delle più famose e antiche fabbriche di salsa di soia in USA è una preziosa risorsa di informazioni e idee su fermentazione e umami, tant’è che appunto era sempre in bibliografia quando facevo i workshop Umami.
Non pubblica ricette ma post informativi sul perché dovresti aggiungere lo zucchero quando metti in ammollo i funghi shitake, e sul perchè la salsa di soia va dopo lo zucchero e non prima. Ha organizzato anche un mini viaggio a Kanazawa con visite e workshop in a tema fermentazione. Insomma seguilo, fidati.
Una nuova parola: Kuchisabishii
La traslitterazione precisa di kuchisabishii (くちさびしい) è “bocca sola” nel senso di vuota, senza cibo da masticare, e dunque desiderosa di trovare compagnia mangiucchiando.
Trovo sia una parafrasi molto più convincente e neutrale di “fame nervosa” o “fame emotiva” che implicano un’accezione negativa, come se mangiare per gusto o per gioia o anche per affrontare un’emozione negativa temporanea, fosse una cosa di per sé deprecabile - grazie diet culture - e non invece un normale bisogno umano. Certo, bisognerebbe poi indagare quei sentimenti negativi, ma con l’approccio di andare a valutare ed ascoltare i propri bisogni, e non nell’ottica di bacchettarci se mangiamo un cucchiaio di nutella perché abbiamo avuto una giornata di merda. Insomma non so come dirlo ma oh, bisogna pensare di andare in terapia, e non di chiamare il dottor Nowzaradan.
La necessità di energia non è affatto l’unico motivo valido per mangiare e dovremmo tutti toglierci questo pensiero paraocchi, perché non solo non ci rende più sani, ma soprattutto non ci rende più felici e alla fine che senso ha vivere se non si cerca di essere più felici? Quindi tieni, eccoti due taralli, di quelli buoni.
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